La consultabilità dei documenti d’archivio è regolata dagli artt. 122-127 del decreto legislativo n. 42/2004, “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
I documenti conservati negli archivi sono liberamente consultabili, ad eccezione de:
- i documenti relativi alla politica interna ed estera dello Stato, dichiarati di carattere riservato dal Ministero dell’Interno d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali, che diventano consultabili 50 anni dopo la loro data;
- i documenti contenenti dati personali sensibili (cioè “idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale”), che diventano consultabili 40 anni dopo la loro data;
- i documenti contenenti dati personali cosiddetti sensibilissimi (cioè “idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale o i rapporti riservati di tipo familiare”), che diventano consultabili 70 anni dopo la loro data;
- i documenti contenenti dati giudiziari (cioè “dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale”), che diventano consultabili 40 anni dopo la loro data.
Il trattamento dei dati personali da parte di archivisti e storici - anche quando i dati sono liberamente consultabili - è legittimo solo se si osserva il Codice di deontologia e buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici. Il Codice deontologico ruota intorno ad un principio fondamentale: i dati personali debbono essere utilizzati nel rispetto della dignità delle persone interessate.
Da questo principio, discendono una serie di indicazioni pratiche per chi utilizza i documenti d’archivio:
- "Nel far riferimento allo stato di salute delle persone l'utente si astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico e dal descrivere abitudini sessuali riferite ad una determinata persona identificata o identificabile." (art. 11, c. 2)
- "L’utente può diffondere i dati personali se pertinenti e indispensabili alla ricerca e se gli stessi non ledono la dignità e la riservatezza delle persone." (art. 11, c. 4)
Molto spesso, soprattutto nelle ricerche di storia sociale, non c’è alcun bisogno di indicare in una pubblicazione il vero nome delle persone che appaiono nei documenti.
Quando si scrive di personaggi noti, però, spesso indicare il nome è indispensabile; in questi casi è consentito indicarne il nome, purché ci si astenga da intrusioni nella vita privata non necessarie; spiega il codice:
- "La sfera privata delle persone note o che abbiano esercitato funzioni pubbliche deve essere rispettata nel caso in cui le notizie o i dati non abbiano alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica." (art. 11, c. 3)
Rispettare la dignità delle persone non vuol dire comprimere il diritto di critica. Il Codice è molto chiaro su questo punto:
- "L'interpretazione dell'utente, nel rispetto del diritto alla riservatezza, del diritto all'identità personale e della dignità degli interessati, rientra nella sfera della libertà di parola e di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantite." (art. 11, c. 1)